Pieve Tho – km 86,5
Un chilometro prima di Brisighella, incontriamo, seppure nascosta dalla linea ferroviaria Faenza-Firenze, la parte terminale di un antico campanile, in origine, forse, torre romana di avvistamento. E’ questa la Pieve Tho – (San Giovanni Battista in Ottavo – chiesa madre della Valle del Lamone). Da precisare l’origine della parola “Tho” che vuole significare in “Ottavo”, un costrutto tipicamente dialettale, perché fu eretta lungo la via romana che da Faenza, attraverso la valle del Lamone, conduceva in Toscana, esattamente ad otto miglia dalla via Emilia. La Pieve si trova a poco più di un chilometro da Brisighella. E’ la più antica costruzione sacra della vallata e, per secoli, ha mantenuto la sua giurisdizione su di un vasto territorio. L’epoca della sua origine è ignota; con tutta probabilità sorse fra l’VIII° ed il X° secolo. Il primo documento scritto che attesta la sua esistenza, risale all’anno 909; è un contratto di enfiteusi fra proprietario e affittuario. Il prezioso documento è conservato nell’archivio arcivescovile di Ravenna. La Pieve godeva di molti privile
gi; fra cui quello di esigere una moneta da ogni artigiano della zona; inoltre nella misurazione delle terre, veniva prescritto ai sudditi della contea della valle (secolo XV°), di uniformarsi alla “pertica” di San Giovanni in Ottavo. Molte le leggende sorte su questo antico edificio ecclesiastico. Alcuni fanno risalire la sua origine a Galla Placidia, figlia di Teodosio che, ritornando alla sede ravennate, l’avrebbe fatta erigere per mantenere il voto formulato dopo fortunosa salvezza avvenuta durante una tempesta nei pressi del porto di Livorno.
Altri sostengono invece, (primo Francesco Maria Saletti nel suo “Comentario”), che la pieve è sorta sui ruderi di un antico tempio pagano dedicato al dio Giove Ammone che nella valle, in tempi antichissimi, riscosse grande culto. Nel corso del XVI° secolo un illustre prelato brisighellese, Giovanni Andrea Calegari (1527-1613), pievano dal 1570 al 1574, apportò varie modifiche all’edificio: allungandolo di due arcate, elevando il pavimento di novanta centimetri, costruendo un nuovo altare maggiore. Il suo interno è veramente affascinante: l’edificio in stile romanico è costruito su schema basilicale, a tre navate, divise da archi che poggiano su dodici colonne di granito o di marmo rosso di Verona, disuguali fra loro in larghezza e in spessore. Il materiale di cui si compone l’edificio-pieve, non è altro che materiale di reimpiego raccolto nel territorio e oltre, dai primi adepti alla fede cristiana. L’esterno è di una suggestiva bellezza architettonica; ricordiamo in particolare i muri della navata centrale che presentano decorazioni di archetti e di lesene collocate fra monofore e l’artistico abside con la sua elegante bifora venuta alla luce durante complessi restauri effettuati negli anni 1928-1929. La pieve inoltre è completata da un campanile a base quadrata che risale all’anno mille ed è alto ventun metri (forse in origine torre di avvistamento). L’altare maggiore oggi rivolto verso il popolo, conserva una lunetta in arenaria (forse coperchio di sarcofago romano proveniente da Ravenna del VI° secolo), di cui sono state date diverse interpretazioni. Entrando sulla destra, un artistico capitello corinzio con foglie di acanto trasformato in acquasantiera (del primo secolo dopo Cristo).
La quarta colonna, sempre sulla destra entrando, riporta scolpita una iscrizione romana che si può così tradurre “ALL’IMPERATORE CESARE, SIGNORE NOSTRO FLAVIO VALENTE-PIO FELICISSIMO PERPETUO AUGUSTO – ALL’IMPERATORE CESARE SIGNOR NOSTRO FLAVIO GRAZIANO-PIO FELICISSIMO PERPETUO AUGUSTO, ALL’IMPERATORE CESARE VALENTINIANO-PIO PERPETUO AUGUSTO NOSTRO SIGNORE e FIGLIO
(VALENTINIANO II). La provenienza di questa colonna è ignota; gli studiosi hanno formulato varie supposizioni sulla sua origine. Alcuni sostengono che essa rappresenta una colonna miliare, altri un segno devozionale agli imperatori citati, altri ancora attribuiscono diverso significato. E’ certo che questa antica iscrizione, ancora oggi, resta al centro di variate interpretazioni. Sempre sulla navata di destra, vicino all’altare dedicato a Sant’Antonio Abate (degli scultori faentini Ballanti e Graziani) una rara lapide funeraria in ceramica che ricorda, con misurata iscrizione, la madre del priore Giovanni Raccagni deceduta nel 1694 in questa pieve dove il figlio era pievano. Gaetano Ballardini (1878-1953), storico della ceramica, considerava questo reperto raro e di grande valore in quanto iscrizioni funebri fatte su materiale ceramico sono rare. Sempre sulla destra, nello sfondo, una pala del 1515 che raffigura la Madonna col Bambino Gesù e i Santi Giovanni Battista e Antonio di Padova. Il dipinto è opera dei pittori Scaletti e Mengari; assai noti, nel XVI° secolo nel territorio faentino.
Gli Affreschi
Vari resti di affreschi, da pochi mesi restaurati con grande perizia dal professor Valerio Contoli di Faenza: alcuni in alto nella volta del presbiterio ritenuti prima dell’anno 1000 che rappresentano gli apostoli con Gesù, quelli in basso, sempre nel presbiterio, con l’effigie di Sant’Antonio Abate e della “Vergine in Trono” da collocarsi anteriormente al secolo XV°. Tutti gli affreschi, molto deteriorati dal tempo e dall’incuria, sono stati di recente, per munifico dono del prof. Miro e della consorte Rosangela Fabbri, restaurati e riportati al loro primitivo splendore. Al centro del presbiterio è collocato un tabernacolo in arenaria, attribuito ad un certo maestro Poli che reca incisa la data 1450 in un arco. Nella navata, a sinistra per chi entra, si osservi una colonna di marmo rosso di Verona che porta incastonata una conchiglia fossile. Sempre su questo lato, un artistico Crocifisso (del secolo XIII°) da poco riportato, sempre per merito dei ricordati mecenati, al suo originale splendore, una Madonna in terracotta di scuola toscana del secolo XV°, una ceramica opera di Giannetto Malmerendi e sull’altare in fondo una tela della pittrice Costanza Lega (secolo XX°).
La cripta
La cripta è stata riportata alla luce negli anni 1960-62 dal pievano Monsignor Pio Lega (1902-1968) che organizzò, a sue spese, una ardita e vasta campagna di scavi. Venne allora alla luce questa suggestiva cripta che rappresenta la struttura tipica di ambiente romano: da notare un mattone romano con linee originali del gioco “del lupo e della volpe”, una tavola luxoria, un rozzo basamento di altare, una scala privata originale che immetteva al centro della chiesa (oggi chiusa). Attualmente l’accesso alla cripta avviene attraverso un suggestivo percorso che inizia da una piccola scaletta (nella destra della chiesa entrando), che ci immette in un impensato mondo con tanti reperti archeologico-storici, di non comune valore. Ai nostri occhi lungo il percorso appaiono basamenti di tre colonne di granito orientale, vari reperti, una tomba romana alla cappuccina, un muro con mattoni manubriati, una cella per inalazioni (forse un misterioso reperto termale), vari avanzi di vasi, di cui, in alcuni, appare il nome del costruttore (Sexti), ampolle di vetro, ecc., un’antica macina di olive per uso familiare. Questo piccolo frantoio di olive testimonia come da sempre nella Valle del Lamone questa pianta fosse coltivata. A poche centinaia di metri dalla Pieve, la CAB produce questo olio oggi detto “Brisighello” di alta e pregiata qualità (DOC). Prima di accedere, alla fine del percorso, alla già ricordata cripta, si attraversa una stanza, detta “camera della colonna” perché qui è stato ritrovato un ceppo consacrato agli dei Mani, che si può ammirare nel luogo in cui è stato rinvenuto, cioè al centro di questo misterioso ambiente. Certamente l’edificio sacro, il più antico della valle del Lamone, merita una particolareggiata visita (è sufficiente contattare i numeri telefonici dello JAT di Brisighella ( tel. 0546/81166) che si collegano col parroco e col custode. La domenica e i giorni festivi l’edificio è sempre aperto).
Chi entra in questo luogo ha intima sensazione di intraprendere un percorso a ritroso di secoli e secoli e di rivivere in un suggestivo mondo dove il tempo sembra essersi fermato per sempre. Si consiglia caldamente la visita a questa antico monumento, ricordando però che oggi l’accesso alla cripta, in attesa di definitiva sistemazione, è vietato per ragioni di sicurezza. Alla Pieve in Ottavo, allora al punto cardine della vita spirituale della Vallata del Lamone, fu ospite nell’anno 1280 o 1281, Santa Umiltà Negusanti, in viaggio verso Firenze per la fondazione di una comunità del suo ordine. Ospitata dal Pievano e dai canonici ivi residenti, ebbe anche il dono di una preziosa reliquia della manna di San Giovanni Evangelista. Ancora oggi le seguaci di questa grande santa faentina continuano ad essere, specie con le loro istituzioni educative, un momento positivo nella vita religiosa e culturale della città.
Piero Malpezzi
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