× Ritorna la 49^ edizione della 100km del Passatore - 25-26 maggio 2024
FIRENZE - 100 KM del Passatore | Firenze - Faenza

Firenze, Via Calzaiuoli – Partenza

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VIA FAENZA A FIRENZE  (da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

E’ una via del centro storico di Firenze che va da Piazza Madonna degli Aldobrandini (davanti alle Cappelle Medicee di San Lorenzo) al Viale Filippo Strozzi, in particolare alla Fortezza da Basso. Anticamente la via era lunga circa la metà, solo fino a via Nazionale, e si chiamava Via di Porta a Faenza perché terminava con l’omonima porta nelle mura duecentesche. A sua volta la porta non prendeva il nome da una strada verso la città romagnola, celebre per le ceramiche, Via Faenza, ma da un convento di monache vallombrosane seguaci della beata Umiltà da Faenza(1), le cosiddette “Donne di Faenza”, che avrebbero dato il loro nome anche alla Porta aperta nell’ultima cerchia comunale. Il loro convento, che era stato affrescato fra gli altri dal pittore trecentesco Buonamico Buffalmacco,si trovava in fondo alla strada, in aperta campagna, e fu alla fine incorporato nella Fortezza di San Giovanni, detta da Basso, costruita nel 1533. Alle monache venne dato in sostituzione il convento di San Salvi. La via è rimasta comunque caratterizzata dalla presenza religiosa. Davanti a Via Bernardo Cennini esiste ancora la chiesa di San Giuliano, già appartenuta a un omonimo monastero femminile consacrato nel 1585 e soppresso nel 1808. Oggi ha riacquistato la sua funzione religiosa ospitando la Casa Generalizia della Congregazione delle Figlie Povere di San Giuseppe Calasanzio. Poco distante, il grande ex-Educandato di Fuligno, già convento di Sant’Onofrio, occupa una lunga parte del lato nord della via con le sue due cappelle dal tipico tetto a capanna. Fondato verso il 1300 ha subito numerosi ammodernamenti nei secoli. Oggi l’edificio è conosciuto perché ospita il Museo del Cenacolo del Perugino, già nel refettorio del convento. Il palazzetto chiamato Villa Strozzi fu abitato dal segretario diplomatico Alphonse de Lamartine, che vi ospitò Stendhal nel 1828, quando il grande romanziere francese stava scrivendo Il rosso e il nero. Proprio dalla visita di Stendhal a Firenze fu nominata la cosiddetta Sindrome di Stendhal. Quasi all’angolo con Via Nazionale si trova un grande tabernacolo affrescato entro una cornice di pietra serena, con la Madonna col bambino, San Rocco, San Giuseppe, San Filippo Neri, San Carlo Borromeo e San Giovannino dipinto da Giovanni da San Giovanni verso il 1600.

Passata Via Nazionale si incontra un’altra chiesa sulla destra, San Jacopo in Campo Corbolini, dall’inconsueto portico sulla facciata con arcate a tutto sesto su massicci capitelli scolpiti, risalente ai secoli XII-XIII e raro esempio di atrium medievale giunto fino ai nostri tempi. Gia appartenuto ai Templari e ai Cavalieri di Malta, all’interno ha un aspetto trecentesco, con un’unica navata divisa in due campate con volta a crociera. Quasi antistante, al numero 56, si trova il piccolo Cinema Ciak Atelier, oggi chiuso, specializzato in cinema europeo e d’essai in prima visione. La sala proiezione, risalente ai primi anni ’80, è un gradevole esempio di misurate proporzioni, con sobrie ma eleganti decorazioni, ed una significativa testimonianza dell’architettura cittadina dell’epoca.

 

 (1)

SANTA UMILTÀ (Faenza 1226 – Firenze 1310)

La sua ‘Vita’ scritta dal monaco contemporaneo Biagio (1330 ca.), è contenuta nel cod. 271 della Biblioteca Riccardiana di Firenze; inoltre vi è una seconda ‘Vita’ nel cod. 1563 della stessa Biblioteca. Ma molti altri testi dei secoli successivi, fino agli Atti della Congregazione dei Riti del 1720, riportano notizie che la riguardano, sia come persona, sia per gli scritti, sia per i processi apostolici, sia per le fondazioni di monasteri a lei collegati. Rosanese Negusanti, figlia dei nobili Elimonte e Richelda, nacque a Faenza nel 1226, l’anno della morte del serafico Francesco d’Assisi; nel 1241 a 15 anni, perse il padre e l’anno successivo a 16 anni sposò il patrizio Ugonotto dei Caccianemici, avranno ben presto due bambini, ma la loro felicità fu brevissima, essi morirono appena battezzati; nel contempo le muore anche la madre Richelda. Ma la giovane donna (aveva 24 anni) senza avvilirsi e cedere allo sconforto o distrarsi con le gioie del mondo, decide insieme al marito Ugonotto (che morirà nel 1256) di ritirarsi a vita religiosa, entrando ambedue nei chiostri della canonica di s. Perpetua; non era raro nel Medioevo, di assistere a scelte di questo genere fra due coniugi cristiani. Ed in questa occasione Rosanese Negusanti cambia il nome in quello di Umiltà; dopo essere guarita miracolosamente da una grave malattia, nel 1254 lascia il chiostro della canonica e si ritira in clausura in una celletta costruita per lei presso il monastero vallombrosano di s. Apollinare, fondato tra il 1012 e il 1015 da s. Giovanni Gualberto. Qui visse per dodici anni, purificando ed elevando il suo spirito con preghiere e digiuni, alternandoli con consigli che dava a quanti le si rivolgevano per aiuto. Il suo esempio attrasse alcune giovani di Faenza che chiesero di costruire altre celle vicino alla sua e per vivere sotto la sua guida.  E così nel 1266 per consiglio del vescovo Petrella, Umiltà accetta di diventare la guida spirituale delle nuove monache, riunite nel vecchio monastero della Malta alla periferia di Faenza (Ra). Umiltà aveva ormai 40 anni, ritorna ad essere madre piena di bontà, di saggezza e di energia, diventando la guida per le nuove figlie, indirizzandole sulla via della santità; alcune delle prime monache godono per questo di un culto.  Trascorsero quindici anni, mettendo in pratica tutte le virtù della Regola di san Benedetto e delle Costituzioni Vallombrosane di s. Giovanni Gualberto. Quando aveva 55 anni, nel 1281 madre Umiltà fu chiamata a fondare una nuova casa per le giovani fiorentine, la cui vita era scossa dalle lotte fra Bianchi e Neri; la chiesa venne eretta a Firenze, in onore di s. Giovanni Evangelista, ebbe come architetto Giovanni Pisano e come decoratore il celebre Buffalmacco; fu consacrata nel 1297 dal vescovo Francesco Monaldeschi.  Pur essendo molto malata e anziana, suor Umiltà teneva contatti personali con Faenza e Roma per dare continuità ai due monasteri, finché dopo sei mesi di sofferenze, ad 84 anni, cessò di vivere a Firenze il 22 maggio 1310. Dopo un anno il 6 giugno 1311, il suo corpo fu esumato e benché fosse sepolto nella nuda terra, sotto il pavimento della chiesa, risultò incorrotto; fu rivestita di preziosi indumenti e da allora ebbe un culto ininterrotto. Il suo corpo in seguito fu traslato nel monastero di san Salvi (1534) e infine nell’800, in quello dello Spirito Santo di Varlungo presso Firenze, dove è tuttora conservato.  La spiritualità di s. Umiltà si può rilevare dai Sermoni pervenutaci, essi sono viva espressione di profonda umiltà e di fervido amore per Dio e per il prossimo. Il suo culto è antichissimo, forse risale addirittura alla solenne ‘elevazione’ delle reliquie del 1311, in cui fu concessa una Messa propria; nel 1317 i vescovi radunati ad Avignone concessero particolari indulgenze.  Il 27 gennaio 1720 la Congregazione dei Riti con papa Benedetto XIII confermò l’antico culto, facendo celebrare la Messa propria il 22 maggio. Fu dichiarata nel 1942 compatrona di Faenza; le vennero dedicati altari nei due monasteri da lei fondati della Congregazione Vallombrosana, oltre che nel Duomo di Faenza.

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