L’ESCLUSIVO RACCONTO DI MARCO MENEGARDI, IL VINCITORE UMILE DELLA 100 KM DEL PASSATORE 2019
Il Passatore. Oramai questo nome a qualsiasi persona che si è affacciata nel mondo podistico evoca immediatamente la regina delle Ultramaratone. Il percorso che unisce i centri storici di Firenze e Faenza passando per gli Appennini. Io questo 2019 sono andato di persona a vedere come era.
IO, MARCO MENEGARDI– Il Passatore prima di tutto è una festa. Una festa per la gente dei paesini che si attraversa che ti incita con urla ad alto numero di decibel e con grande vigore emotivo. Una festa per i podisti e i loro amici che spesso li accompagnano in bicicletta. Si parte da Firenze. Dal centro. Piazza Duomo. Si dribblano i turisti per accedere alla griglia di partenza. Sono teso ma sono sereno. Non ho pressioni. Ho tanti rimpianti per come sarei dovuto arrivare preparato. Però è importante esserci quest anno. Per altri ragionamenti si vedrà. Mi sento piccolo per un attimo. Miglialia di persone. Atleti super preparati con tabelle ad hoc, peso forma da atleti elite, ecc..stop. Smetto con questi ragionamenti. Io sono qua come Marco Menegardi per fare la mia gara. Quello che fanno gli altri è un problema loro, nella vita come nello sport.
IL FLUSSO DELLA CORSA– La partenza è subito “a fuoco”. Io me ne sto tranquillo dietro. Il gsp mi segna 4e10 al km con la sensazione di gambe imballate. E’ normale sto partendo praticamente da freddo. Decine di persone davanti. Perfetto. Va bene così. La recente contrattura al bicipite femorale destro si fa sentire. L’inizio è tosto:il caldo e poi comincia quasi subito la salita. Non ripidissima ma continua. Sbagliare ed esagerare qua ti può fare saltare la gara. I primi 20km di una cento sono chiave. Bisogna lasciare tempo alle gambe e al metabolismo di entrare in modalità endurance. Bisogna “fare passare” i chilometri opponendo la miglior resistenza possibile. La corsa è un flusso. Va reso fluido adattandolo all’altimetria del percorso. Ho un amico che mi fa assistenza in bici. Inizio sapientemente ad alimentarmi e idratarmi da subito ad ogni passaggio ai ristori.
Salita alle Croci (600m s.l.m) si scende a Borgo san Lorenzo. Si attraversa il Paese. Un tifo da stadio. Incredibile. Mi avevano raccontato qualcosa ma andava ben oltre l’immaginabile. Siamo circa al 30esimo km: comincia la salita lunga e inesorabile verso la Colla di Casaglia a oltre 900m di quota. Sono emozionato e preoccupato. Sbagliare e andare in crisi è un attimo. Sento un po’ di fatica e le gambe pesanti. Rallento di poco, quasi impercettibilmente. Cerco di correre facile. La salita se sbagli non perdona. Una cento km di prigionieri non ne ha mai fatti. Mano a mano che si sale la strada si inerpica nel bosco dell’appennino fiorentino. L’ombra dà un minimo di sollievo climatico. Il ritmo non è esagerato ma commisurato alla pendenza e alla strada ancora da fare. Il livello di fatica è accettabile. La salita mi piace. Sembra l’atmosfera di una tappa di un grande giro ciclistico. Sto contando i km che mancano al GPM del 48esimo km. So che il tratto più impegnativo è quello centrale. Verso il 45esimo km scorgo la sagoma di re Giorgio Calcaterra. Un brivido mi attraversa. Continuo con maggiore vigore. Lo raggiungo, lo affianco, lo guardo. Uno scambio di occhiata rapidissima. C è tanta fatica anche nei suoi occhi, ma la passione che ci muove a fare queste cose la super di gran lunga. Cerco di non pensare. Mi concentro sulla corsa. Gli ultimi 3 km scorrono via lisci. Raggiungo un altro concorrente e finisco l’ultimo gel che avevo recuperato a Borgo San Lorenzo.
FLUIDO, REGOLARE, CHIRURGICO-Cerco di fare tutte le cose con una calma serafica. A non farmi prendere dall’emozione e dalla foga. Non siamo nemmeno a metà strada. 50esimo km, 3he46min. Cavolo. L’idea di stare sotto le 7he30 potrebbe materializzarsi. Mi dicono che sono quinto. Il primo a 17 minuti, il podio a 9minuti. La prima donna mi è davanti. Più o meno inconsciamente non razionalizzo. Col senno di poi posso dire che il mio cervello quanto ha sentito quei parziali pensava solo a una cosa: il podio non è un miraggio. In quel momento mi sembrava ancora impronosticabile. Avevo paura di potere saltare da un momento all’altro. Il clima però adesso è più fresco, nella discesa anche un bel temporale mi dà una rinfrescata. Mi concentro solo sulla corsa. Biomeccanica, flusso, cadenza, pendenza, manto stradale. Ogni sbaglio è energia che butti per strada. Mi accorgo che più passano i km più sto meglio. Le gambe si alleggeriscono. L’unica preoccupazione è che ho passato il 60esimo km e il mio amico e la sua assistenza non si sono ancora visti. Un misto di rabbia, preoccupazione e timore mi continua a pervadere. Cerco di pensarci il meno possibile e scaricarlo sulla strada. Ogni volta che arrivava una bici speravo fosse lui, alla fine rimarrò solo fino all’arrivo! La corsa adesso è bella ampia, le braccia accompagnano il movimento delle gambe che sono in piena spinta. Fluido, regolare, chirugico.
IN THE ZONE– Ai rifornimenti prendo sempre coca-cola e mezza banana per tamponare l’assenza dell’assistenza che avevo programmato. L’atmosfera per quanto sei concentrato nel tuo sforzo inevitabilmente ti attraversa e si tramuta in un distillato di emozioni che, anche ex post, rimane difficile da spiegare (come mi ha confessato un ex pluri-vincitore del Passatore la domenica dopo la gara, il passatore lo capisce solo chi vi ha partecipato). In lontananza vedo il croato con cui ci eravamo sorpassati varie volte in discesa e la macchina col timer del tempo che precede la prima donna. E’ il momento migliore fisicamente. Sto correndo bene. Svariati chilometri poco sotto i 4. Passo entrambi. Non guardo in faccia nessuno. Nikolina (la prima donna) mi dirà all’arrivo col suo italiano con moderato accento balcanico: ”mi hai superato come aereo”. In realtà quella che è veramente volata è stata lei, ma l’umiltà della passione della corsa che ho visto nei due vincitori croati precede qualsiasi deriva egomaniaca. Peraltro, nel suo caso, da campionessa del mondo sulla distanza sarebbe ben giustificato. Stavo correndo “in the zone”, ero rapito dalla trance agonistica. Uno squalo che sente l’odore del sangue. Il primo è a meno di 5min. Il pensiero addirittura di potere vincere mi attraversa. Non voglio pensarci. Mi distrarrebbe. Cadrei in errore subito. Verso l 80esimo raggiungo l’ucraino che era secondo. Lo passo. Non lo guardo. Continuo. Mi dicono che il primo (Andrea Zambelli e vincitore dell’anno scorso) è a tre minuti.