MARRADI – km 65 – Ristoro – n. 15
Ai piedi dell’antico castello di Castiglione trovasi raccolto, in una angusta gola del fiume Lamone, l’abitato di Marradi. Qui confluiscono due grossi torrenti: “Rio del Santo” o della “Badia” (a destra) e “Rio di Collecchio” a sinistra.
Non conosciamo l’origine di Marradi e del suo nome; forse, come sostengono alcuni studiosi, il nome della cittadina potrebbe avere riferimento alla nota erba medicinale “Marato”. Un punto essenziale della sua storia è certamente legato alla abazia di Santa Reparata, oggi detta comunemente la Badia del Borgo che ha rappresentato per secoli un punto di riferimento per l’intera popolazione del territorio.
Nell’anno 1177, così ricorda un’ antica tradizione, un ramo della famiglia Fabroni (o Fabbroni) dalla lontana Pistoia si trasferì a Marradi. Il Metelli nella “Storia di Brisighella e della Valle di Amone” (Conti editore – Faenza 1869-’72 – libro 1° pag. 11) non condivide questa tesi, sostenendo che la famiglia Fabbroni esisteva molto tempo prima, per cui essi possono essere considerati abitatori e non fondatori della cittadina.
Altro studioso, invece, ammette che da Pistoia, nel 1177, i Fabbroni si trasferissero a Marradi, come gli Spada da Gubbio presero dimora nei pressi di un loro feudo di Zattaglia (Brisighella). Anche Carlo Mazzotti, autore di una ricerca qualificata sul monastero della SS. Annunziata di Marradi, sostiene che Pistoia è la città dove viveva in origine la stirpe dei Fabbroni, antica e nobile famiglia sempre devota alla Repubblica Fiorentina e successivamente al Granducato di Toscana.
Viene a questo proposito ricordato come essi ospitassero a Marradi vari membri della famiglia dei Medici e che nel 1506 addirittura avessero l’onore di ospitare Papa Giulio II, il celebre Giuliano della Rovere (1443-1518), il cosiddetto “Papa Guerriero” che, succeduto al Borgia, cercò di riorganizzare lo Stato della Chiesa, dimostrando di essere più dedito all’arte militare che alle “cose ecclesiastiche”. Si ricorda anche che membri della famiglia dei Fabbroni furono il celebre latinista Monsignor Angelo e il fratello Giovanni, dotato di una prodigiosa memoria, che visse a lungo a Firenze in cui, ancora oggi, gli è dedicata una via.
Giuseppe Matulli, noto studioso marradese ed amante della terra natale, scrive che al centro di Marradi venne ritrovata una lapide romana, datata nell’anno 89 a.C. Questo dimostrerebbe che al tempo della dominazione romana esisteva un “castrum” che del resto figura presente nell’itinerario di Antonino Pio, imperatore romano dall’anno 135 all’anno 161. Matulli sostiene che questo fortilizio esisteva nel centro del paese dove oggi è situata la chiesa arcipretale marradese, dedicata a S. Lorenzo.
Altra grande famiglia marradese da ricordare è quella dei Cattani, che aveva la sua residenza di fronte alla chiesa dedicata al martire Lorenzo. Di questa famiglia ricordiamo il cardinale Federico (1856-1943), eminente prelato della curia romana. Un pensiero tutto particolare al grande poeta Dino Campana (1885-1932) che qui nacque, autore dell’opera “I canti Orfici”, stampata in prima edizione nel 1914 proprio a Marradi dalla tipografia Ravagli.
Tutti noi conosciamo l’infelice vita di questo poeta che chiuse la sua esistenza in una residenza psichiatrica a Castel Pulci di Firenze. Commuove tuttora il destino doloroso di questo grande poeta del ‘900: i suoi “Canti Orfici”, visionari e arditamente simbolici, rappresentano una delle espressioni più autentiche del decadentismo italiano.
Però la terra di Marradi, la sua natura, lasciano tracce luminose nell’animo e nelle pagine di Campana: un ambiente dove “c’è una bellissima vegetazione. Il blu profondo del cielo si incontra con la luce toscana mattina e sera sulle frange dei monti. Il fiume è bellissimo” e che spesso riaffiora nelle sue prose:
“Ecco le rocce, strati su strati, monumenti di tenacia solitaria che consolano il cuore degli uomini. E dolce mi è sembrato il mio destino fuggitivo al fascino dei lontani miraggi di ventura che ancora arridono dai monti azzurri: e a udire il sussurrare dell’acqua sotto le nude roccie, fresca ancora delle profondità della terra. Così conosco una musica dolce nel mio ricordo senza ricordarmene neppure una nota: so che si chiama la partenza o il ritorno: conosco un quadro perduto tra lo splendore dell’arte fiorentina colla sua parola di dolce nostalgia: è il figliuol prodigo all’ombra degli alberi della casa paterna. Letteratura? Non so. Il mio ricordo, l’acqua è così.”
Marradi
Il vecchio castello che ride sereno sull’alto
La valle canora dove si snoda l’azzurro fiume
Che rotto e muggente a tratti canta epopea
E sereno riposa in larghi specchi d’azzurro:
Vita e sogno che in fondo alla mistica valle
Agitate l’anima dei secoli passati:
Ora per voi la speranza
Nell’aria ininterrottamente
Sopra l’ombra del bosco che la annega
Sale in lontano appello
Insaziabilmente
Batte al mio cuor che trema di vertigine.
Marradi è oggi una ridente cittadina legata molto alla Toscana da cui amministrativamente dipende, ma svolge molte delle sue attività verso la vicina Romagna collegata da ampia strada e da ferrovia, la cosiddetta “Faentina” il cui itinerario è fra i più caratteristici d’Italia; verde, anfratti, grotte, ampi spazi di castagni, gallerie, un tutto da vivere come “un unicum”. Un concetto mutevole di “paesaggio”, nelle più variate espressioni, dell’Appennino tosco-romagnolo. I suoi abitanti, un tempo soprattutto dediti all’agricoltura, oggi, attraverso un pendolarismo quotidiano, svolgono attività lavorative a Firenze e in molti centri della Toscana, altri invece scendono nelle zone della pianura faentina e ravennate lavorando in molte industrie.
Piero Malpezzi
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