“I miei primi 5 Passatori” di Marco Finco
Ricordo benissimo la prima volta che ho pensato seriamente alla cento del Passatore. Me ne avevano parlato molte volte i runners sui pullman, stanchi compagni di viaggio di ritorno dalle maratone in giro per l’Italia. Quando erano state raccontate tutte le sfide, quando non c’era più nulla su cui confrontarsi, solo allora partivano le storie e le leggende sul Passatore. E non c’è n’era più per nessuno! Io sono sempre rimasto ad ascoltare rapito, come di fronte ad un miraggio. Troppo sopra le mie possibilità.
Poi un giorno, quasi per magia, qualcosa è scattato. E quel qualcosa è scattato all’arrivo della mia ennesima Maratona del Santo, a Padova. La mia città. Prato della Valle. La mia piazza. Il giorno della maratona diventa la più bella d’Italia. Impossibile non rimanerne affascinato. L’arrivo di una corsa in quella arena è l’apoteosi per un atleta. Colori. Gente in festa. Spazio sconfinato ed avvolgente allo stesso tempo. Tagliando quel traguardo non puoi pensare possa esserci al mondo qualcosa di più.
Ma un bel giorno, invece di voltarmi indietro, invece di ringraziare la folla festante, di abbracciare con lo sguardo la grande piazza e la sua festa, mi sono perso a guardare in avanti. Mi sono chiesto, una volta in più, come stavo. Mi sono domandato se ce l’avrei fatta a continuare per almeno altrettanta strada. Con la medaglia appena indossata ho soppesato ancora per qualche istante quanta voglia di correre ancora avevo sui piedi. Quanta voglia, dietro la profonda stanchezza, mi era rimasta. La risposta, in segreto, non ha tardato ad arrivare. Accettarla poi, con un pazzo sorriso, non mi ha fatto paura.
Dopo cinque edizioni i ricordi oggi un po’ si mescolano, definendo nella mente un nuovo spazio di certezze. Una successione di riferimenti e suggestioni che tu sai ti guideranno, come un nuovo Pollicino, in ogni caso in Piazza del Popolo a Faenza, una domenica mattina di maggio. Ma all’inizio non è stato così. All’inizio è stato solo terrore. Oggi ogni nuovo Passatore diventa un po’ un viaggio nel passato, alla riscoperta di come ero ieri. Ogni volta che rivedo Piazza della Repubblica a Firenze per il ritiro del pettorale non riesco a trattenere il pianto. Perché penso che un anno è già trascorso. Un anno volato a riflettere e a prepararmi su questa importante avventura da affrontare da soli con se stessi. Ed eccoci qui. Sembra che nessun giorno sia passato senza pensare a questo preciso momento. Che finalmente è nuovamente arrivato.
Recupero il pettorale e passeggio per il centro riordinando le idee. Passo per Santa Maria in Fiore, Palazzo Vecchio, Santa Croce. Rimango immancabilmente rapito dalla bellezza di questa città. Poi torno sui miei passi. Parlo con gli autisti dei mezzi di trasporto borse. Quanto rimanete fermi a Borgo? E sulla Colla?
Così divido le mie vesti, i cambi, gli integratori, occhiali, pila e cellulare nelle varie sacche. Faccio mille calcoli. Adoro questo aspetto della corsa: la sua organizzazione. I cambi adeguati da consegnare a corriere che ti aspetteranno lungo il percorso solo in precise finestre orarie. Per centrare l’obiettivo finale è necessario centrare ogni passaggio intermedio. Un po’ come una missione spaziale, divisibile in più fasi. Basta un dettaglio sbagliato in una di queste e tutto salta.
Rimango disteso a lungo sotto i portici di via dei Brunelleschi a rilassarmi. Le sacche sono ormai consegnate. Il lungo viaggio in corriera da Faenza a Firenze è ormai alle spalle. Il ricordo della prima volta di quella corsa in pullman ancora mi riempie di gioia. L’euforia e gli scherzi di alcuni, come per la partenza per una vera avventura, sono ancora una vera carica di emozione.
Finalmente ci si ammassa in via de’ Calzaiuoli. Normalmente fa un caldo terrificante. Ci si cerca. Si ascoltano i consigli di Pirì Crementi, vice presidente e cofondatore della grande corsa. E finalmente si parte. La prima meta è Fiesole. Alla casa del Popolo ci aspettano sempre in tanti con simpatiche goliardate e spruzzi d’acqua. La salita da li molla un po’ e senza molta fatica ci si ritrova a Vetta Le Croci al 17-simo. Un passo largo dove molti fiorentini si fermano a fare il tifo. Si scherza ai ristori perché anche quest’anno non hanno portato la ribollita. E si riparte. Da qui fino a borgo San Lorenzo è tutta discesa. E quindi giù pieni di entusiasmo fino al traguardo del trentaduesimo nel cuore del Mugello. Finalmente il caldo ci dà tregua. Qui raggiungo il pullman per il cambio di maglietta per affrontare gli ultimi dieci chilometri di salita fino alla Colla, dove sarà già notte. Dobbiamo affrontare le ore di fatica che ci porteranno al tramonto: l’atmosfera da qui a poco cambierà completamente. Usciti dal paese la salita inizia subito e i chilometri cominciano a farsi sentire sulle gambe. Il sole si tinge di rosso sulla nostra sinistra. Di fronte a noi si erge il muro dell’Appennino tosco-emiliano, coperto da ombre sempre più lunghe della notte ormai vicina. Da questo punto di osservazione sembra impossibile che tra poche ore lo supereremo. A Ronta mi rinfresco alla fontana del paese, oltre il bar sport. Si sentono venir da dentro voci, scherzi e battute di chi gioca a carte, dopo cena. Al ristoro prendo il primo caffè di questa lunga notte. E si riparte. Ormai cammino, diretto deciso verso il Santuario della Madonna dei tre fiumi. Qui la voce dell’acqua scrosciante la fa da padrone. Poco dopo ci sorpassa il pullman dei ritirati di Borgo. È un attimo di sconforto. Ma intanto siamo al 42-simo. La distanza della maratona. E la domanda della piazza della città del Santo torna ad interrogarmi: quanta voglia hai ancora? Ho un attimo di tentennamento, ma a Passo Colla ormai manca poco. Ormai è buio. Razzuolo ci aspetta con la prima postazione massaggi per i crampi. Ma tiriamo dritti. Si accendono le pile. E diventiamo subito un sentiero di luci. Di tornante in tornante guardando giù la scia di lumini si allunga sempre più. E’ come essere ad una strana processione. L’aria ormai sa di bosco. Un torrente amico corre vicino e con il suo suono energico ci rinfresca. Ormai conto le curve perché so perfettamente quanto manca al Passo. Finalmente avverto profumo di carne alla brace. Preludio che la Colla è vicina. Ed eccoci finalmente! Il passaggio sul suo tappeto magnetico per la lettura del chip è sempre una grande emozione! Metà ormai è fatta! Ora è tutta discesa! All’igloo del deposito indumenti recupero il mio secondo sacco e mi cambio completamente, pronto ad affrontare la notte. Ritrovo i miei occhiali, il cellulare. Oggetti della mia quotidianità. E la meta sembra già più vicina. Così ricomincia la discesa, affrontata con un timido trotterello verso Casaglia. È notte. Ci fa compagnia la Luna. Piena fino a quando non tramonterà. E poi il buio. Ingannato dai raggi delle nostre pile tremolanti. Si scende facile fino a Marradi. Il 65-simo. È da qui che comincia veramente il Passatore. Tutti lo sanno ed è inutile farsi illusioni. Mi fermo al punto massaggi allestito subito dopo il ristoro. Dopo la Colla l’assistenza sanitaria è silenziosamente passata di mano dalle misericordie toscane alla croce rossa italiana. Volontari che aspettano il passaggio dell’ultimo atleta che richiederà soccorso. Essendo anche io volontario CRI, tendo a fraternizzare chiedendo da che comitato arrivino. Mi riempiono di sorrisi e gesti di fratellanza. La discesa da qui perde intensità e ti ritrovi solo, con le tue forze. Sono ben nascoste dentro di te, ma ce ne sono ancora. Così continui. Corri, seguendo le lucciole. In questa parte di mondo esistono ancora. Mi sento per un attimo ancora bambino. Passati i binari ferroviari fuori paese la strada pare ormai piatta. L’Appennino è alle spalle. Siamo ormai in Romagna. La valle si allarga lasciando spazio alle stelle. Nella penombra intuisco le distese di filari di Sangiovese. I paesi di susseguono in uno stato onirico di allucinazione. Si annunciano da lontano con le loro luci pallide da presepe. Infondono sicurezza e speranza. Li c’è gente. Li c’è da mangiare. Sant Adriano. San Cassiano. Fogliano. Nulla sembra succedere. Poi, ormai inattesa, la percezione della luce, sorpresa inaspettata. Difficile capire il momento preciso in cui questa si infila nella valle. A Brisighella ormai sta albeggiando. I caffè e le marmellate ormai mi danno la nausea. Rifiuto con gentilezza. Vorresti solo che fosse finita. Uscito dal borgo scopri che il sole inizia ad alzarsi e scaldare. Un po’ alla volta mi spoglio dei vestiti della notte. Ormai cammino zoppicando. La vita attorno a me riprende. Incrocio anziani in bicicletta che di prima mattina vanno a messa. Mi sorridono soddisfatti. Conoscono questo passaggio di domenica mattina ormai da 45 anni. A Errano è l’ultimo ristoro. È presidiato da due pensionati ormai semi distesi, consumati dalla notte. Vedo le uova sode ma proprio non ce la faccio. Il sole incalza. Il giorno si fa sempre più caldo. Mancano solo 5 chilometri. Ma ogni passo pesa come 100 metri. Sembra non arrivare mai la fine. Il pensiero di ritirarmi mi assale in continuazione. Ormai è fatta. Che senso ha perdere altre ore? La distanza ormai è fatta. Cosa devo dimostrare di più a me stesso? Ma la gente del faentino è tornata in strada e tra applausi e sorrisi ti spinge a continuare ancora, fino all’ultimo. Ormai fa proprio caldo. Lego la maglia lunga al collo a mo’ di sciarpa. Sono una candela che si sta avvicinando troppo velocemente al fuoco del camino, sciogliendosi in fretta. Un paio di rotatorie ed entro nel grande rettilineo che porta a Faenza. Finalmente incrocio i primi atleti con medaglia che tornano indietro verso l’auto. Allora manca davvero poco! Al cartello del chilometro 99 mi fermo a scattare una foto. Il numero è magico. Ti introduce nell’ultimo della grande corsa. Continuo camminando sotto i platani, nuovamente affamato di ombra. Raggiungo la cinta muraria della città. Mi rinfresco alla fontana antica posta sulla destra dell’ingresso del centro storico. Ormai è fatta. Piazza del Popolo è lì dietro. Così accelero il passo. Dietro una semicurva avverto la voce dal microfono ed istintivamente inizio a corricchiare. Ecco la piazza. Ecco le transenne. Ecco l’arrivo. Ho ancora le forze per alzare le braccia.
Ricevo la medaglia da una ragazza che mi fa bei complimenti. Li prendo come sinceri e sentiti. Le lacrime mi segnano il viso. Quest’anno ricevo, insieme alla stampa del diploma, anche il piatto delle 5 Cento. Le mie prime cinque, fatte una di seguito all’altra. Dopo la prima avevo pensato di aver fatto una vera pazzia. Mai più, mi ero detto. Le settimane dopo poi ci ripensi e tutto lentamente assume un nuovo aspetto. Così ti ritrovi alla partenza per la seconda volta. E questa volta piangi da subito perché sai quanto dura sarà. Ma la gioia della fine supera ogni volta tutto.
Mi congratulo con Marco Gelli che chiude vicino a me, portando fino alla fine la sua bandiera per la 44-sima volta. Vedo atleti ritirare piatti per le venti, le trenta partecipazioni. Mi congratulo con loro. Ringrazio le donne al ristoro finale per la perfetta organizzazione di sempre. Prendendo finalmente un uovo sodo, mi dicono che non immagino neppure quante ne abbiano cucinate in 45 anni di storia. Rido e ringrazio. Mi fermo sulla scalinata del Duomo e mi guardo attorno. Continuano gli arrivi. Continuano gli applausi. Qualche atleta dorme sui gradini del sagrato a fianco a me. Chissà da quante ore. Torno nella zona arrivi a vedere la classifica che mano a mano si allunga con la stampa di nuovi fogli. Incredibile! Il grande Giorgio Calcaterra c’è l’ha fatta anche quest’anno! Vedo che anche Natalina Masiero è già arrivata. Con le sue 35 partecipazioni che la rendono la donna con maggior numero di presenze, mi sento orgoglioso della rappresentanza alla manifestazione della nostra generosa città veneta. Recupero le mie sacche e ringrazio ancora. Organizzazione perfetta. Giornata perfetta.
Raggiungo il parcheggio auto e con un po’ di fatica mi rimetto subito al volante verso l’autostrada. Le gambe fanno una grande fatica a premere i pedali di frizione ed acceleratore. Gratto qualche marcia. Pazienza. Giro a fianco della rotatoria con l’enorme balena trainata dal bimbo pescatore. Sono passato di qui solo ieri e mi sembra già un anno. Oggi sono un’altra persona. Ancora una volta ho saputo tirar fuori il bambino che è in me, che ha saputo trascinarsi dietro l’intera balena, fino alla fine della notte.
Sono fermo in autogrill. Dormo con sedile abbassato. Impossibile proseguire. Il sonno ha avuto il sopravvento. I tanti volti incontrati mi scorrono davanti. I gesti di affetto e di solidarietà dei faentini. I sorrisi dei volontari della “Rossa”. La 100 del Passatore è una parabola della vita. Una lunga salita di giorno. Una discesa nella notte. Ma se sei forte abbastanza, il giorno poi torna ancora, per sorprenderti ancora la domenica mattina in Piazza del Popolo, nel cuore di una incantevole cittadina di Romagna. Da li poi, puoi sempre riprendere l’autostrada, per tornare a casa con occhi e cuore nuovi.