LA 100 KM DI OMAR CASATI
Dopo il ritiro dello scorso anno alla Colla ero un animale in gabbia.
Non riuscivo a darmi pace per il ritiro, peraltro bissato da un ulteriore ritiro al Mugello a Settembre.
Sapevo di aver lasciato qualcosa per strada, volevo celebrare nel migliore dei modi i miei primi 50 anni e invece tutto era finito s
u un pulmann di disperati che dalla Colla mi riportava a Faenza.
Sapevo di avere un cerchio da chiudere lungo il percorso e che il punto di chiusura di quel cerchio stava esattamente a Faenza.
Quindi a ottobre, decido di iscrivermi di nuovo al Passatore.
Ho anche un buon motivo per farlo: nel 2016 ricorre il 100esimo anniversario della nascita di mia nonna a cui ero legatissimo e il pensiero di dedicarle questa gara è perfetto.
Già, perchè mia nonna è stata un enorme fonte di resilienza e di capacità nel guardare sempre avanti nella vita, nonostante le tragedie che si sono messe di traverso sul suo passaggio e io qualcosa da lei ho imparato.
Detto fatto, mi iscrivo e chiedo e ottengo il pettorale 1916, suo anno di nascita.
Pur non potendomi allenare in modo continuativo metto insieme un numero discreto di chilometri e sono finisher di 3 maratone in 35 giorni e un trail di 53km subito dopo. Decido che prima di tutto va allenata la mente e imposterò tanti allenamenti sul tempo e non sulla distanza (che sono molto più pesanti da gestire psicologicamente).
Mia nonna nasce nel 1916 in una famiglia patriarcale, non si sa nemmeno quanti fratelli fossero perchè se uno moriva prematuramente un altro ne prendeva il posto, magari con lo stesso nome, forse per lenire il dolore. Nasce gemella, sperano almeno di salvare il maschio, braccia forti per l’agricoltura, lei è così piccola che viene adagiata in una scatola e avvolta nel cotone, ma è di fibra forte e sopravvive.
Dirà sempre: “mio padre era in guerra, è tornato in licenza e ha fatto il danno”, riferendosi al concepimento suo e del fratello.
Vado a Firenze venerdì di prima mattina.
Quest’anno non c’è nessuno dei miei amici, non voglio accompagnatori, deve essere un viaggio solo con me stesso, la strada ed il ricordo di mia nonna nel cuore. Ne approfitto per fare il turista e gironzolare qua e là, sempre turisti ovunque che riempiono le strade, vado anche a vedere la voragine lungo l’Arno, voragine che simboleggia l’avidità umana e mi riposo anche parecchio, cosa difficile negli ultimi tempi….
Ho corso molto ma non abbastanza, starò molto guardingo e cercherò di arrivare a Faenza in ogni modo possibile, la mia cara amica mi ha detto “anche 20 ore ma finiscila”.
Sabato mattina ritiro pettorali, lunga coda in piazza della Repubblica, facce già viste, alcuni timorosi, altri determinati ma le ultra sono brutte bestie, il piacere di farcela supera ogni disagio, di fronte al timbro di finisher spariscono sete, sudore, vesciche, vomito e acido lattico e siam lì in coda per quel pezzo di carta che certifica che siamo pronti a giocarcela, ognuno con la sua storia e la sua motivazione, tante commoventi.
In piena guerra mondiale mia nonna conosce l’amore della sua vita e in tempi in cui già salutarsi era un mezzo scandalo lei conosce l’amore fino in fondo e concepirà un figlio.
Il padre, bergamasco tutto di un pezzo e padrone di tutto e tutti, quando la gravidanza non si può più nascondere la caccia di casa per il disonore e lei si ritrova a vagare per boschi valli e monti, vagando di giorno alla ricerca di cibo e di notte alla ricerca di un tetto sicuro fin quando, a pochi giorni dal parto, una signora pietosa (lei dirà sempre “una cristiana vera”) la accoglie in casa sua e le dà cibo e alloggio, senza nulla pretendere in cambio.
A causa della povertà del periodo affiderà ad un orfanotrofio il figlio – che poi perderà in modo tragico – fino al dopoguerra.
Alle 15 sotto un caldo tremendo si parte, devo andare più piano dello scorso anno, devo andare più piano dello scorso anno, devo andare più piano dello scorso anno, come un mantra ripeto queste parole e alterno corsa lentissima e camminata, tutti i chilometri che da ottobre faccio due volte al giorno invece di prendere i mezzi pubblici per l’ufficio ora vengono fuori.
I primi due ristori sono un disastro, gente che assale i tavoli, nemmeno uno spicchio di limone rimasto e dietro vi è ancora tanta gente, ma che ne è stato delle organizzazioni perfette ????
Al passo tre croci mi sento chiamare “Omarrr!!!”. E’ un’amica che, non potendo correre è venuta a sostenerci e mi offre una birra che bevo a sorsi avidi poi riparto con lo slalom tra auto in coda e rischiando qualche investimento.
Scendo verso Borgo san Lorenzo, ci sono troppe auto è pericoloso, mi chiedo che ci faccio qui poi ricordo a me stesso la mia mission, anche in venti ore devo farcela.
Bevo continuamente ma il cibo non mi va molto, pessimo segno, mi sforzo di mandare giù qualche boccone ma è dura, quando finisce la discesona sono sollevato, tra un po’ si sale e andrà meglio.
Al ristoro di Borgo San Lorenzo passo dopo più di quattro ore ma le gambe van bene. Ora inizio a camminare ma qualcosa non va, mi si chiudono gli occhi e la testa ciondola, temo di cadere svenuto da un istante all’altro, ho il buio attorno, non ce la faccio……..
La vita prosegue e mia nonna rimane vedova giovane e porta avanti l’attività del marito nell’epoca in cui quasi tutte le donne erano casalinghe, aiuta mia madre che nel frattempo ha avuto me in età troppo giovane e fa andare avanti casa nostra come un’antica “regiura”, ma intanto continua, ha subito alcuni interventi medici molto seri e ne è uscita indenne, la vita prosegue, dopo il temporale torna il sereno e i fiori fanno di nuovo capolino nei prati.
Inutile mentire, sono in crisi. Non ce la faccio più. Ma la lucidità qui mi fa prendere una decisione fantastica e quasi irrazionale. Questo è il bello delle ultra, questa è la resilienza signori, avere la lucidità di prendere la decisione giusta.
Se hai sonno cerca di svegliarti: inizia a correre.
Così faccio e per più di un chilometro corro alzando l’andatura e
incredibile, funziona, mi sveglio e mi passa quel malessere che mi stava fermando, riesco a ripartire, ho battuto la prima crisi adesso si va avanti, giuro che alla Colla ci arrivo.
A sessantanni la nonna cade dalle scale, il responso è crudele: frattura di due vertebre, i medici sono categorici: difficilmente questa donna si rialzerà, ma negli anni 70 forse la medicina non è così ottimista e si sbagliano di brutto.
Dopo tre mesi è di nuovo in cucina a spadellare e l’estate successiva si concederà una vacanza al mare in tenda.
Salgo ad ampie falcate, cammino fluido e sciolto, riesco anche a mangiare e bere, il peggio è passato, la salita non è così ripida come mi ricordavo e non mi sembra nemmeno così lunga, mancano meno di dieci chilometri alla Colla, sono un po’ in ritardo rispetto allo scorso anno ma va bene così per adesso importa arrivare in cima.
Passo della Colla, ore 22.04. Sento di aver raggiunto un traguardo importante. Adesso posso cambiarmi, riposare un poco, bere quel brodo miracoloso che sistema ogni stomaco devastato e soprattutto iniziare una lunga discesa.
Sento che “Re” Giorgio Calcaterra ha vinto di nuovo e sono molto felice per lui e per tutto quello che significa per noi, per la sua umiltà e i suoi sorrisi che fanno sentire noi i campioni e lui tapascione.
Via, adesso hai la discesa, il buio nasconde i contorni e le curve e non ci si rende conto quanto sono ripide le discese ardite e le risalite, sto bene, il sonno è passato e sono concentratissimo.
Vedo il pulmann dei disperati e gli faccio il gesto dell’ombrello: “quest’anno non mi avrai”, a Faenza io ci arrivo e con me la mia missione.
In discesa mi scopro a cantare i versi di Davide Van De Sfroos “A remà insemm se fà meno fadiga” anche se sono solo soletto nella notte e la frontale illumina il passo avanti a me.
Negli anni i suoi fratelli e sorelle pian piano lasciano questa terra, ogni volta un dolore che abbatte e poi si riparte sempre più soli e con sempre più foto allineate come santini sul comò in camera, è rimasta l’ultima della sua generazione e ultima della sua numerosa famiglia.
La crisi ritorna, al ristoro del sessantesimo chilometro mi devo fermare di nuovo ma stavolta decido di regalarmi dieci minuti di riposo.
Vicino al ristoro c’è un po’ di prato e mi sdraio a riposare e subito i paramedici mi circondano pensando che io stia male ma li tranquillizzo “ho solo bisogno di riposare, se sto male vi chiamo”, mando un po’ di messaggi a amici e parenti, poi mangio e via, ormai manca meno di una maratona, nei hai corse tre in 35 gironi adesso fai la quarta per favore, la metà è andata e di salita non ce n’è più così tanta.
Mia moglie mi scrive: “nella salita alla Colla hai recuperato più di cento posizioni”, mi ero accorto di superare ma non così tanti atleti, segno che è tutto ok, vediamo di riprenderci, adesso vi faccio vedere io chi ha le palle per arrivare a Faenza….
Il riposino è un toccasana, va meglio, lo stomaco accetta il cibo, poco ma resta giù, ce la faccio.
Qualche lucciola punteggia la notte, vedo tanta gente stravolta a bordo strada ma io a Faenza ci arrivo anche su una gamba sola.
Marradi, la mia amica è in piazza, mi offre un’altra birra ma rifiuto, acqua e limone e via subito, manca ancora un lungo, come quello che ho corso due settimane fa, è fattibile, ormai siamo in Romagna, si inizia a vedere qualche auto targata Ravenna.
A San Cassiano ultimo ristoro e riflessione. 25 chilometri all’arrivo, sono sicuro di farcela e adesso posso iniziare a correre seriamente.
Sto maledettamente bene e le mie gambe lo sentono, supero uno dietro l’altro i concorrenti che a gruppi procedono nella notte romagnola e recupererò più di 350 posizioni in classifica.
Mia nonna ci ha lasciati nel 2004 , a 88 anni, a causa di un molto probabile episodio di malasanità ma da sempre sento la sua presenza nella mia vita, sia come modello di comportamento che nella sua capacità di rinascere e guardare avanti dopo le avversità e le dure prove a cui siamo sottoposti.
Passo Brisighella e decido che devo camminare il meno possibile, nella notte romagnola prima l’aurora e poi l’alba colorano il buio e si sentono gli anfibi gracidare nei fossi attorno alla strada. Prima negozio con me stesso di correre 800 metri per ogni chilometro e camminarne duecento, poi ne corro novecento e quando incrocio la rotonda del Passatore decido che non mi fermo più, anzi l’ultimo chilometro lo corro a 4′ e 48″ in volata superando spettatori e runner esterrefatti.
Chiudo il mio secondo Passatore superando la linea del traguardo dopo 14 ore e 18′ con un grido di gioia disumano e urlato al cielo.
Ciao nonna, hai visto cosa è stato capace di fare tuo nipote ?
Omar Casati